lunedì 14 settembre 2020

Bambini ammalati, in quali casi bisogna tenerli a casa?Quando possono rientrare a scuola?



Tosse, raffreddore, febbre, disturbi gastrointestinali, ma anche congiuntiviti, pediculosi e malattie
infettive compariranno soprattutto fra i bambini più piccoli dei nidi e delle scuole materne. 

A differenza di qualche decina d’anni fa, quando ammalarsi significava stare giorni e giorni a casa, oggi il rientro in classe è rapidissimo: basta che passi la febbre per tornare fra i banchi, anche se si tossisce a ripetizione e il naso cola ancora. 

Succede perché la maggior parte delle famiglie non può permettersi di non andare al lavoro o di chiamare una babysitter per accudire un figlio malato. Ma come essere sicuri di non rispedire a scuola troppo presto un bimbo, mettendo a rischio lui e i suoi compagni?

«Non aver fretta»
«Non bisogna avere fretta, soprattutto con i più piccini: prima dei cinque, sei anni il sistema immunitario non è ancora ben sviluppato e si è quindi più “indifesi” contro i virus, che nelle classi circolano in abbondanza e durante tutto l’anno scolastico - osserva Giuseppe Mele, presidente dell’Osservatorio nazionale per la salute dell’infanzia e dell’adolescenza Paidòss -. 

Le più comuni affezioni delle vie aeree, anche le più banali (come riniti, otiti o faringiti,ndr), richiedono dai cinque ai sette giorni per risolversi: rimandare a scuola un bambino non ancora ben guarito significa esporlo a malattie ricorrenti. Le rinosinusiti, ad esempio, sono spesso conseguenza di raffreddori non curati bene, in cui l’infezione “fuori controllo” si estende ai seni paranasali».
Serve una convalescenza adeguata
«Una convalescenza adeguata fa sì che il bimbo torni a scuola più forte e non si ammali di nuovo, magari di qualcosa di peggio: se ad esempio si sono dovuti prendere antibiotici per sei o sette giorni a causa di un’otite, meglio aspettarne altri tre o quattro prima di rientrare - conferma Giuseppe Di Mauro, presidente della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS) -. 

Detto ciò, l’ideale sarebbe potersi organizzare per evitare che il bimbo nel primo anno di vita debba andare al nido; dopo i due, tre anni invece frequentare la scuola e stare con i coetanei porta solo vantaggi per lo sviluppo e la socializzazione, nonostante i malanni siano inevitabili. Cinque o sei episodi l’anno però sono perfettamente normali, bisogna indagare solo se le malattie sono più frequenti o gravi. In caso di bimbi particolarmente cagionevoli e facili alle infezioni ricorrenti, tuttavia, i tempi di convalescenza devono allungarsi».

I tempi di rientro a scuola
«Se il piccolo è a rischio, ad esempio perché c’è una familiarità per l’asma, sì anche alla prevenzione - aggiunge Mele -. A settembre e nei primi mesi di scuola, dopo essersi consultati con il pediatra, si può rafforzare il sistema immunitario con immunomodulatori o vitamine, come la vitamina D che ha mostrato di migliorare la risposta alle infezioni». Rientrare a scuola guariti è importante per non infilarsi nel circolo vizioso dei malanni, ma anche per evitare di spargere la malattia agli altri. In genere alla risoluzione dei sintomi non si è più contagiosi, ma è vero che dopo un giorno senza febbre si può tornare in classe? 

«La febbre è significativa, ma l’assenza di questo sintomo non è il solo elemento da considerare per valutare se il bambino sia guarito e non possa più trasmettere la malattia ai compagni - risponde Mele -. Occorre tenere conto della situazione generale del piccolo: se c’è ancora malessere, perché ad esempio la tosse è tanta, se c’è dolore o molto raffreddore, è sempre meglio aspettare ancora». «Tuttavia, quando la febbre non c’è, la probabilità di contagiare gli altri è praticamente azzerata - riprende Di Mauro -. 

Ma se per le patologie respiratorie i tempi di rientro possono variare in relazione alla diagnosi e alle condizioni del bambino, per alcune malattie le regole sono invece ben precise: in caso di varicella o morbillo, ad esempio, si può tornare a scuola dopo cinque giorni dalla comparsa delle vescicole o delle macchie cutanee; i giorni salgono a sette per la rosolia e a nove dopo la comparsa del gonfiore delle ghiandole salivari se si è presa la parotite; la scarlattina richiede una convalescenza minima di 48 ore dall’inizio della terapia a cui si aggiungono altre 48 ore di completa assenza di febbre, lo stesso accade in caso di faringite da streptococco». I tempi sono chiari anche per altri disturbi diffusissimi fra i bambini: se si sono presi i pidocchi, si può rientrare dopo il primo trattamento; in caso di congiuntivite, devono trascorrere 24 ore dall’inizio della cura; se c’è diarrea, si rientra solo quando è completamente passata. 

I genitori, peraltro, dovrebbero tenere a casa i bambini quando hanno sintomi di malessere: ad esempio, se hanno la febbre, se nel giorno precedente c’è stato vomito o diarrea, se sono comparse macchie sospette sulla pelle (potrebbe essere in arrivo una malattia esantematica) o se si sono accorti che gli occhi producono una secrezione purulenta (segno di congiuntivite, un problema che si trasmette con estrema facilità). 

Spedire il figlio malaticcio a scuola significa quasi certamente sentirsi chiamare a breve dagli insegnanti per andare a riprenderlo, perché a tutela della classe un bimbo con sintomi che ne facciano sospettare la contagiosità deve essere allontanato.

Con la crescita diminuiscono le malattie
«Bisogna però sottolineare che, con la crescita, i problemi diminuiscono: alle elementari c’è una riduzione drastica del numero di malattie e le assenze degli scolari sono circoscritte a situazioni chiare - riprende Mele -. 


In ogni caso, anche per i più grandicelli vale la regola della prudenza: bisogna sempre seguire con attenzione la terapia prescritta dal pediatra, attenendosi ai suoi consigli, senza avere troppa fretta di far tornare il bambino in classe».

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