mercoledì 3 maggio 2023

"Bimba di pietra", scoperta la malattia che ha ucciso Bea: la sindrome «è colpa di un'anomalia cromosomica»






La malattia rara che ha portato alla morte nel febbraio 2018 Beatrice, una bambina di 8 anni, adesso ha una spiegazione.

Un gruppo internazionale di ricercatori, coordinati da Elisa Giorgio dell'Università di Pavia e della Fondazione Mondino Irccs, ha capito perché il suo corpo si era trasformato in un'armatura rigida, portandola al decesso all'ospedale Regina Margherita di Torino.  


L’Italia l’aveva conosciuta come “la bambina di pietra”, un nomignolo che la sua mamma Stefania Fiorentino (morta qualche mese prima della sua bimba per un tumore) e il suo papà Alessandro Naso odiavano ma che descriveva senza mezze parole la sindrome



La malattia della piccola si era presentata nelle prime settimane di vita con un'evoluzione molto rapida e invalidante. Le analisi genetiche avevano inoltre da subito escluso questa patologia. Era il 2010 ed era stata visitata nell'ambulatorio di Genetica clinica pediatrica del Regina Margherita della Città della Salute di Torino per tumefazioni alle articolazioni. Radiografie e Tac avevano segnalato calcificazioni che stavano trasformando la cartilagine in osso. Le articolazioni si erano bloccate e nessuno specialista riusciva a capire.


La famiglia aveva creato una onlus per fare conoscere il caso e la zia aveva pubblicato #Leggera come una piuma - Il Mondo di Bea (Pathos edizioni). La malattia della bimba aveva similitudini con la Fop, la Fibrodisplasia ossificante progressiva, una rara malattia genetica in cui i muscoli e i tessuti molli vengono gradualmente sostituiti dalle ossa. La patologia è causata da una mutazione nel gene Acvr1, responsabile dell'informazione necessaria a formare tessuto osseo nei distretti scheletrici. Quando questo gene è mutato invia un segnale anomalo a vari tessuti, che progressivamente calcificano e si trasformano in osso.


Lo studio, su Nature Communication, ha ora dimostrato che uno specifico gene produce una proteina in quantità molto più elevate dell'atteso, ma soprattutto nel tessuto sbagliato, la cartilagine. Proprio questo gene induce la formazione di tessuto osseo dove non dovrebbe essere presente. Il gruppo di ricerca aveva identificato un'anomalia cromosomica unica, mai descritta in letteratura: un segmento del cromosoma 2 doppio, inserito sul cromosoma X della bambina. Solo negli ultimi anni però la tecnologia ha messo a disposizione dei ricercatori degli approcci estremamente complessi per studiare queste anomalie cromosomiche.


La ricerca ha permesso così di capire che il pezzo di cromosoma 2 in più conteneva delle regioni in grado di attivare i geni sul cromosoma X nei tessuti sbagliati. In particolare, si è dimostrato che il gene Arhgap36 era quello che produceva una proteina in quantità anomale. Il gruppo internazionale che ha lavorato sul caso di Bea è partito sentendo i pediatri sul quadro clinico, Giovanni Battista Ferrero e Margherita Silengo dell'Università di Torino e il laboratorio di Genetica medica e malattie rare di Alfredo Brusco della Città della Salute di Torino e dipartimento di Scienze mediche dell'Università. Per capire il complesso meccanismo alla base della malattia è servita una collaborazione con diversi centri italiani, ovvero con Marco Tartaglia dell'ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma e Massimo Delledonne dell'Università di Verona, ed esteri, come il professor Malte Spielmann dell'Università di Lubecca e Kiel, in Germania.




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