venerdì 7 aprile 2023

Nonna e mamma. Basta un utero in affitto e lo sperma del figlio morto

 




L'attrice spagnola Ana Obregón, 68 anni, conferma: il padre della "sua" bambina partorita da una surrogata di Miami è il "suo" Aless, morto tre anni fa. «Le dirò: "Tuo papà è in cielo e tua mamma è una donatrice", e basta. Che problema c’è?»


Per fare un figlio ci vuole sperma, ovulo, utero, soldi e una storia di dolore che non ammetta controcanto. L’attrice Ana Obregón, 68 anni, aveva tutto l’occorrente: campioni del seme dell’amatissimo figlio Aless (ucciso dal cancro, a cui i medici avevano raccomandato di congelare i gameti prima di iniziare la chemioterapia), conservati a New York, una donatrice di ovuli, una madre surrogata di Miami pronta ad affittarle l’utero, molti soldi e un dramma da rivendicare:

Oggi Ana Obregón posa sulla copertina di ¡Hola! con la neonata nata il 20 marzo in Florida, raccontando di avere preso la decisione di ricorrere alla maternità surrogata «il giorno in cui mio figlio è andato in paradiso. Quello stesso giorno», «era l’ultimo desiderio di Aless mettere al mondo un figlio. Lo ha comunicato a voce a suo padre e a me una settimana prima di morire. Si chiama “testamento olografo”».

Sapeva che le sarebbero piovute addosso critiche, ma secondo l’attempata attrice «solo i padri o le madri che hanno perso un figlio» possono capire o hanno diritto di parola. Per il resto trova un «dibattito assurdo» quello intorno all’utero in affitto, «è una tecnica di riproduzione assistita, si fa da molti anni ed è legale in molti paesi del mondo».


Legale per Obregón è sinonimo di normale, anzi banale, come dimostra il personale che si è occupato della nascita della bambina, «tutti qui pensano che sia una cosa buona. Tutti si sono congratulati con me, senza ulteriori problemi. Dai medici alle infermiere e ai pediatri (…) qui la gente è aperta, ma in Spagna, mamma mia, siamo nel secolo scorso». E poco importa se “legalmente” la bambina risulterà sua figlia sul passaporto, per l’attrice resterà sempre «mia nipote. È la figlia di Aless e quando crescerà le dirò che suo padre era un eroe», «Le dirò: “Tuo papà è in cielo e che tu arrivassi era ciò che più desiderava al mondo, e tua mamma è una donatrice”, e basta. Che problema c’è?».


Che problema c’è? Non c’è posto nella catena di montaggio, allestita per esaudire i desideri del figlio morto, per una mamma della bambina. La surrogata? Per l’attrice è stata una “benedizione” anche se non è rimasta incinta al primo colpo «tutt’altro; ci sono stati diversi tentativi e ogni volta che non funzionavano provavo un disappunto tremendo a ricominciare da capo». 


Ma i fallimenti non hanno fatto mai desistere Obregón, «non mi sono arresa (…) ho combattuto attraversando l’oceano con le unghie e con i denti per avere qui un po’ di mio figlio (…) La prima cosa più desiderata nella mia vita è stato mio figlio, e questa è stata la seconda più desiderata. Perché questo è stato voluto dall’infinito, dall’eternità, dal cielo».


L’attrice ha dato alla bambina il suo nome, Ana (dice che lo voleva Aless: «Chiamerò la mia prima figlia Ana, come te, mamma»); ha anche annunciato ai giornalisti che racconterà tutto “il processo” della nascita della bambina in un libro. E che sarebbe pronta a rifare tutto, magari per un maschietto, anche se non è possibile scegliere il sesso dei bambini («c’è una donatrice di ovuli, “lo que toca, toca”»), «mio figlio voleva avere cinque figli. Quindi forse un giorno arriverà anche un bambino».


Ana Obregón è una signora di quasi 70 anni che molto ha sofferto per la morte del figlio tre anni fa e che ora ha smesso di piangere; che era arrabbiata con Dio che non la ascoltava e ora si è riconciliata con lui; che voleva morire e ora non vuole smettere di vivere e non vede l’ora di festeggiare il Natale, i Re Magi e anche il battesimo della piccola: «Sono tornata. Sono risorta. Sono rinata. 


Sono morta il 13 maggio 2020 e sono rinata il 20 marzo 2023, proprio così», «dopo tanto dolore è il mio turno, il mio turno» dice posando raggiante per gli obiettivi in una nuvola rosa di pannolini, biberon, pieni di fiocchi «tutti profumati di colonia, che meraviglia!».


Ana Obregón non ha pensato neanche per un secondo alla sua età, 68 anni, e cosa accadrà alla bambina se non riuscisse a prendersene cura, «ho lavorato tutta la vita e, grazie a Dio, sono fortunata a poterla lasciare in una situazione molto buona quando non ci sarò. E fino ad allora, ho tutto l’amore del mondo da darle». 


Molto buona, perché per fare un figlio non ci vuole che sperma, ovulo, utero, soldi e una storia di dolore che non ammetta controcanto; nemmeno quello di una bambina “assemblata” da una facoltosa nonna-mamma che a settant’anni rivoleva un figlio-padre tra le braccia. A tutti i costi, zero rischi e per una ragione incontestabile: «Era il suo ultimo desiderio, me lo ha chiesto lui».

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